Abbiamo aspettato metà novembre, su consiglio di Nicola, il proprietario di Montagne Verdi, per venire nel pieno della maturazione della verza e provarla con la pizza gialla, quella tipica di Castelfranci (della quale vi parliamo anche ne Il borgo in tavola).
Siamo dunque entrati alle 13.30 di una soleggiata giornata novembrina, siamo usciti alle 18.30, completamente sfatti, manco fossimo reduci da un battesimo durato troppo, sazi, satolli, barcollanti…
Ma si poteva uscirne diversamente, considerato che Montagne Verdi dispone di un antipasto di 16 portate? Decisamente no.

L’antipasto da 16 portate di Montagne Verdi
Onestamente questo articolo potrebbe limitarsi ad essere una lunghissima lista di pietanze, del resto come si fa ad argomentare una sequela così continua di pasti?
Per fortuna le portate (che vi avviso, sono passate da 16 a 20 e passa, dato che non mollavamo) erano tutte molto diverse l’un dall’altra, erano formate da vari assaggi e molte volte erano davvero uniche, questo ha aiutato il palato a non stancarsi, e la nostra ingordigia ha fatto il resto.
Iniziamo subito? Sennò non finiamo mai!
Pronti via e arrivano giusto 2 assaggini (senza essere ironici) di salumi e un piatto centrale con delle pizzelle da segnalare (si comincia!)
Una al sale, sulla scia dello gnocco fritto romagnolo (o emiliano?) e una alla menta, con un cuore molto morbido che a me dava un’idea di gorgonzola, che però in realtà non sembra comparire nella ricetta.


Di seguito una valanga senza pietà di olive nere e un’inaspettata insalata di peperoni con olive verdi e tartufo, che ho saggiamente spezzato con la fetta di pane all’olio che mi ero messo da parte.
Fin qui tutto ok, le portate non sono enormi, c’è il giusto per un assaggio ben fatto, ci carichiamo con un po’ di vino e nel frattempo parliamo anche con il padre di Nicola, che ogni tanto passa al tavolo a salutarci.
Ci racconta di come questa non sia stata la sua prima esperienza e di come, tra vari passaggi ed esperimenti siano arrivati alla fine alla concezione di questo agriturismo (Montagne Verdi) e della voglia di far assaggiare al cliente un po’ di tutto, con apprezzate variazioni, per non fare le cose “come tutti gli altri”. Ringraziamo per questa intuizione e arriva il prossimo piatto.
Ricotta mantecata al tartufo
Ciò che da il titolo a questo capitolo è proprio il prossimo piatto.
Una ricotta di vacca, mantecata, presentata in due versioni, al tartufo e con frutti di bosco.
Altra particolarità è che viene servita calda.
Il suo sapore caldo e avvolgente è davvero sorprendente, sia quella al tartufo che la versione ai frutti di bosco sono entrambe molto buone, con la stessa ricotta inoltre, ci rivelano, ci fanno anche i ravioli. Ma benissimo.



Cambio di scenario, dal piattino si passa al tagliere.
In questo carnevale di porzioncine segnaliamo una melanzana a barchetta, due pizzelle veramente ottime (ai cavolfiori e al fiori di zucca), una specie di torta rustica/crespella, con ricotta, quella mantecata di prima, e olive verdi, una frittatona alta e morbida, con peperoni…e dei fantastici involtini di verza con salsiccia di maiale e pancetta. Questo è decisamente l’aperitivo che vorrei, SEMPRE. Altro che noccioline e taralli.

E ancora, sulla stessa scia, un piatto con al centro un croccante cornetto salato, sempre con ricotta e olive, affiancato da parmigiane (di zucchine e di melanzane).
E ancora, e ancora, e ancora…
Credete che sia finita? Assolutamente no.
Inesorabile Nicola continua ad andare avanti e indietro dalle cucine, in un orario favorevole che lascia il locale tutto per noi, e porta piatti su piatti che, per quanto “piccoli”, cominciano a fiaccarci.
Cominciamo decisamente a preoccuparci e nel frattempo è finito il vino, che viene immediatamente sostituito.
Peperoni ripieni! Una sassata al nostro livello di sazietà, fatti nello stile di Caposele, che vanno dunque sul dolce e sono senza carne. Molto carini a vedersi, confermano che in ogni piatto, qui a Montagne Verdi, oltre che cercare di presentarti qualcosa di nuovo e che non hai mai provato (o che almeno non mangi spesso) c’è anche una certa cura.
Ho segnalato prima il tagliere colorato, ma anche il bis di ricotta ha il suo perchè, così come il cornetto salato e queste belle pietre preziose farcite non sono da meno.


Qualcosa ci dice che forse ci siamo quasi, ma prima di arrivare al primo piatto dobbiamo superare ancora un serie di scogli non da poco.
Un ottimo caciocavallo al tartufo, che potete osservare nella prima foto in alto, direttamente da produttori locali della zona (pensate che ne consumano 200 all’anno!) con a seguire dei bei porcini grassocci accompagnati da patate al forno.
Ultima combo sono dei fagioli alla messicana completamente a sorpresa e la popolare verza con tanto di pizza gialla che però al 19° piatto…diventa difficile da sconfiggere.


Finalmente il primo!
Siamo sopravvissuti, ce l’abbiamo fatta! Gli antipasti sono finiti…è il momento del primo piatto…
Adesso, voi leggete qui tutto di seguito e sembra tutta una bella danza di buoni sentimenti e gente che brinda con sorrisi a 32 denti ma a questo punto della giornata noi eravamo seduti da 2 ore e mezza e si presentava quasi il pericolo di piaghe da decupito miste a collasso con testa sul tavolo. Però che fai, non saggi il primo?
Anche perchè…il primo è una Maccaronara. Tipicissima di Castelfranci, anche di questa parlammo ne Il borgo in tavola quando ci trovammo alla felice edizione del VendemmiaFest con tutti gli amici della Pro Loco.
Il piatto si conferma buonissimo, non so come questa forma sappia dare ancora più gusto ma è così.
Il pomodoro rosso rubino con una spolverata di ricotta salata (mantecata) secca fa il resto, deliziosa, davvero.
Complimenti a Montagne Verdi.

Subito dopo, un’altra nostra vecchia conoscenza, anche in questo caso la provammo al VendemmiaFest (ma un po’ ovunque in verità). Tipica dell’avellinese e non solo, rende saporito ogni pasto, come ci conferma il capofamiglia, che ci osserva divorare anche questo piatto. E’ la sfrionzola, “motivo di festa, quando si uccideva il maiale”. E ci credo.

C’è spazio per un dolcino?
Non ci chiamate vigliacchi, ma in tutto il pranzo abbiamo dovuto a malincuore saltare i ravioli, perchè vi giuro che a una certa o mangiavamo quei ravioli o tornavamo a casa senza il supporto di un respiratore artificiale. E’ stata dura scegliere, ma non si poteva diversamente.
C’è spazio però per un dolcino. Ne chiediamo una (Torta al cocco) ma ce ne arrivano due (E che fai, la cheesecake non la provi?). Come tutto il resto del pasto si confermano buone, molto buone…
Non mi sarò dilungato molto sui vari sapori, tranne che sulle cose che mi hanno davvero molto colpito dove non potevo esimermi dal dirvi la mia, ma tutto, davvero tutto, è buono. Non abbiamo lasciato nulla nel piatto, neanche quando tra un boccone e l’altro abbiamo perso l’uso della vista e la testa è diventata improvvisamente leggera.
Niente, neanche in quei momenti, perchè era davvero tutto buono!


Con la faccia tosta del chiedere anche l’amaro, questa giornata finisce.
Ci aspetta soltanto 1 ora e passa d’auto per tornare a casa, un venerdì sera che non avverrà mai, la pancia strapiena e un’autostrada piena di simpaticissimi elementi che quasi ci costano un frontale (realtà accettata con serenità, dato che la sazietà ci impediva di provare terrore) ma siamo stati felici di venire a trovare Nicola ogni volta che veniva al tavolo (per ben 23 volte, o più? ho perso il conto) e sicuramente ritorneremo.