Paisà | Ristorante – Olevano sul Tusciano (SA) – Tavolo Riservato


In un tranquillo mercoledì settembrino, mettendocisi forzatamente alle spalle l’estate, i suoi deliri e i suoi gamberoni arrostiti incalziamo a passo felpato verso l’autunno.
Verso la braciola, il vino rosso, il cavatello al sugo e verso Paisà.

Paisà, taglieri
– Tris di formaggi e tris di salumi


Antipasti? Fate voi


Fuori c’è un vento gelido, a supportare la nostra tesi e a planarci di pancia su un menu tutto di terra, menu che in realtà , almeno in cartaceo, non vedremo mai, perchè non appena ci sediamo ci viene chiesto: “Dell’antipasto ce ne occupiamo noi?”
Sarebbe meglio dire che ci viene detto, più che chiesto, ma a noi sta bene così, le nostre facoltà mentali sono tutte rivolte a dividere saggiamente un vasetto di percoche monnate che ci viene portato in accompagnamento a un vino rosso dolcino (per qualcuno troppo dolcino, per me ci poteva stare).

Al primo brindisi piovono 2 taglieri di salumi e formaggi.
Tris di formaggi di diversa stagionatura, qualcuno suggerisce che provengono da pastori locali.
Di fianco, tris di salumi (Capocollo, pancetta e prosciutto crudo, un classico).
Qualche gonfio bocconcino, delle confetture per i formaggi, del pane a dadoni abbrustolito, unto il giusto e profumato d’origano e infine le portate calde.

Tra piatti che arrivano da tutte le parti segnalo volentieri una mulignana a varchetella massiccia, una triremi solida da guidare in battaglia contro Cartagine e una spettacolare verza e salsiccia talmente corposa da darmi l’erranea sensazione di star masticando funghi. Tranquillamente inseribile nelle top 3 verza all time.

In caso dobbiate dare una manco di bianco alle pareti del vostro stomaco ecco un purè massiccio con punte di peperone crusco (mi è sembrato) e per smaltare milza ben condita.

Il vero trionfo? Una costariccia morbida come il burro il cui segreto è la maiala prima (selezionata) e la cottura lenta.
Spazzolata via in pochi secondi, una delizia.

“C’è chi viene apposta”, si dice.


Bis di primi


Siamo un po’ sfortunati (o salvati dal destino?) e oggi invece del solito tris ci viene presentato un bis.
Cortecce con funghi e guanciale & Lagane e ceci (e guanciale).
Decidiamo di provarli ovviamente entrambi, per sperimentare quanto influisca davvero il guanciale in piatti diversi + altre futili scuse.

La prima pirofila (anzi le prime due) di cortecce inondano la tavola, allo sguardo hanno un luccicore antico e perduto nei meandri degli anni 80, è la panna.
A sovrastare la panna un sapore di aglio, riscontrabile in un grosso iceberg che naviga a vista.
L’uso o meno di aglio in queste pietanze è questione di tradizione, c’è poco da discutere…

Chi ci segue si ricorderà che la lagana e ceci provata in diverse sagre aveva ogni volta delle piccole variazioni.
L’abbiamo trovata infatti con erbette e peperoncino, molto cremosa, verso il salernitano, sia a Macchia di Montecorvino Rovella sia a Rufoli (dove scomparivano le erbette) e al contrario l’abbiamo scoperta molto brodosa, senza crema, e ricca di aglio a Giungano.
Di conseguenza è questione di tradizioni e preferenze.

Onoriamo la tavola senza troppi pensieri e in men che non si dica le cortecce sono un ricordo.

Paisà, Cortecce


Piomba su di noi un panfilo di lagane e ceci (e guanciale) e fin dal primo sguardo si comprende chi sia il vero boss di fine livello. E’ chiaramente la lagana, e noi abbiamo ancora giusto un paio di vite.
Mentre il nastro di pasta viene distribuito giunge al tavolo la quarta bottiglia di vino, la percoca nel mio bicchiere, dopo 8 refill, è ormai una gemma dell’infinito.

Si aggancia all’ugola, rugosa, callosa, ruvida, da affrontare in battaglia, moderno Kraken spunta dal piatto e ti sfida ma non ha scampo, perchè è assai buona.
I ceci sono chicchi di grandine di Chialamberto e il croccantissimo guanciale dona allo spartito la nota croccante che completa la sinfonia. E’ un gran bel primo, cioè un secondo-primo, e noi siamo contenti.


Durcetiello


Annuendo al vuoto con le mani sui fianchi attendiamo il colpo di grazia.
Un via vai di cameriere ci tenta e ci punzecchia con proposte oscene tipo fare un misto di carne, ma noi pasteggiamo col vino rimasto e optiamo per passare al dolce e agli amari.

I dolcini consistono in delicati cantucci, non di quelli odiosi che sono strasecchi o di quelli infami che ti si attaccano al palato, ma in cantucci fatti bene, che sanno di casa, con una sorpresa di fianco.
Difatti c’è un altro dolcetto, un bignè farcito.

Non sono un grande fan del bignè perchè quando mai ne trovi uno fatto bene?
Invece questo merita, lo butto giù in un sol boccone come fosse un bocconcino (esempio sbagliato?) e poi aggredisco l’amaro. Provo (leggasi, do un devastante colpo alla bottiglia) il limoncello e poi passo all’amaro alle erbe.

Un bel finale. E complimenti ancora per il cantuccino.


Paisà, in sintesi…


Paisà ci è piaciuto. Atmosfera di casa da piccolo agriturismo, poche chiacchiere e porzioni abbondanti.
Vino che è arrivato in porzioni + infinito, chicche graditissime come i dolcetti di cui ho parlato poco sopra, il parco amaro messo a disposizione, gli abbondanti antipasti (ripeto, costariccia) con portate particolari che ha fatto piacere riprovare, tipo la milza, e una lagana over the top.

Tutto questo, più un paio di pinte e altre cose dimenticate nel caos della mangiatoria, per 25 euro a testa.
Io ce torno.


Falco


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