Ci ritroviamo ancora una volta nel misterioso mondo dei prodotti tipici campani.
La pizza chiena è un prodotto noto in tutte le province e i capoluoghi regionali, e non solo, ma naturalmente si porta dietro confusione, dubbi sulle origini, provenienze e chiaramente rivalità accese tra chi ne reclama la paternità. Vediamoci più chiaro.

Cos’è la Pizza chiena?
Si tratta di una torta salata, farcita. Fin qui tutto semplice.
Gli ingredienti principali comuni a tutte le versioni sembrano essere una gran quantità di GRASSI quali salumi, formaggi, strutto e uova. Ad esempio, nella versione campana e laziale ricorre l’uso di uova strapazzate unite a prosciutto crudo/salame con scelta di pecorino o provolone, a seconda della zona.
In Basilicata invece si prediligono le uova sode, i salumi scelti variano tra salsiccia e soppressata, i formaggi usati sono pecorino e toma (o ricotta, in alternativa alla toma).
L’impasto è tipico a tutte le ricette: farina, acqua, uova e strutto (oppure olio, nelle versioni più light!)

Nomi e origini
“Questa è la parte un po’ drammatica”
Partiamo innanzitutto dai nomi, la pizza (chiena) è conosciuta anche come canascione, scarcedda, cazzola, cuzzola.
Per alcuni l’origine è contadina (come nel caso delle prime cacio&pepe e delle prime pizze fritte) e ricorre naturalmente un uso smodato di prodotti poveri quali formaggi autonomamente prodotti e salumi di maiale. Tutto sembra però cambiare quando questo prodotto da forno estremamente soddisfacente solletica il palato delle corti, dove viene grandemente apprezzato poichè ricorda, in maniera più laida, i pasticcetti rustici a base di ricotta, mozzarella e prosciutto.
Una versione della storia diametralmente opposta la vede invece nascere nelle corti borboniche ed espandersi in Italia ed Europa.

Primi scritti…
I primi scritti a riguardo risalgono al 1500, quando si tratta la sacra trilogia dei pani pasquali: Tortano, Casatiello e appunto la nostra Pizza Chiena, nelle varie opere di Giulio Cesare Cortese, Giambattista Basile e Giambattista Del Tufo. Questi sapidi pani compaiono anche in dipinti dell’epoca e nei trattati di cucina rinascimentali.
Nel 1840 abbiamo la prima ricetta “ufficiale”, che è quella di Cavalcanti, che ne illustra i diversi passaggi nel suo “Cucina teorico pratica” mentre in un arco temporale immediatamente precedente abbiamo la prima descrizione da parte di Vincenzo Corrado, Principe, gastronomo e figura di cultura nelle corti nazionali (e non solo).
Corrado indicava la pasta brisée come involucro più adatto ma, andando ancora indietro nel tempo, se ne trovano altre versioni. Già nel Medioevo infatti si utilizzavano delle torte rustiche con una crosta esterna molto dura, non commestibile. Solo nel Rinascimento si passò poi alla pasta frolla che conferiva alla torta un accattivante mix di sapori dolci e salati.
Da Cucina teorico pratica, di Cavalcanti
“Farraje la stessa pasta comm’a li cauzuncielli de coppa con lo zuccaro; piglia lo ruoto che t’abbesogna nce farraje na sodonta de nzogna e po nce miette la pettola de pasta che schianarraje co lo laniaturo; pe mbottonatura nce miette chello stesso che t’aggio ditto ncoppa (uova e ricotta, ndr) mperò de caso e ova, mozzarelle, e presutto, nce miette l’auta pettola, la chiude bona attuorno e ncoppa essa nce farraje pure na sodognuta de nzogna e la farrai cocere a lo furno o co lo tiesto.”

Rivalità
Principalmente le province che si contendono questo unto fardello sono quelle di Avellino, Frosinone, Potenza e Caserta (fa ridere che sia esclusa da queste pretese la provincia di Napoli! Per alcune versioni nasce lì, a corte, per altre non può neanche rivendicarne l’origine, fantastico!)
Secondo gli irpini (tra l’altro, divisione nella divisione, la rivalsa principale della ricetta è irpina e non “avellinese”) non ci sono dubbi, la ricetta originale è la loro e lo testimonia il fatto che uno degli ingredienti più tipici è la soppressata, salume “affumicato” tipico della zona che poi si abbina naturalmente all’aglianico, e di conseguenza tutto torna. Altri prodotti usati nelle preparazioni irpine sono la caciotta di primo sale di latte vaccino, il pecorino bagnolese o il carmasciano semistagionato.
Anche se in maniera minore rispetto alle sopracitate anche il Cilento ha la sua versione di pizza chiena, e anche qui ricorre il preferenziale uso della soppressata, stavolta di Gioi, e del formaggio di capra.
Non sottovalutiamo la Basilicata, che addirittura ha classificato la pizza come PAT (prodotti agroalimentari tradizionali)

Ricetta
Naturalmente era IMPOSSIBILE trovare la ricetta definitiva, ve ne mostriamo dunque una standard da cui potete prendere spunto. La ricetta è largamente personalizzabile con i vostri prodotti preferiti e locali.
Ingredienti per pasta
- 250 gr di farina 00
- 250 g di farina Manitoba
- 50 g di acqua
- 100 g di latte
- 80 g di olio extravergine di oliva + q.b. per ungere la teglia
- 15 g di lievito di birra fresco
- 10 g di sale
Ingredienti per il ripieno
- 500 di ricotta
- 150 di provola o fiordilatte
- 175 di salame e prosciutto cotto
- 150 di parmigiano
- 50 di pecorino
- 4 uova
- Sale e pepe qb
Procedimento
Tagliare tutti i salumi e il formaggio a pezzetti non piccoli. In una ciotola mescolare le uova con il pepe. Un pò alla volta unite alle uova i salumi e il formaggio. Uova e formaggio devono essere ben amalgamati fra loro. Imburrate ed infarinate una teglia tonda con bordi alti, stendete una parte dell’impasto e foderate lo stampo. Ora versate tutto il composto nella teglia e coprite con un altro strato di pasta, facendo moltissima attenzione a chiudere perfettamente i bordi, al fine di evitare che l’uovo fuoriesca. Infornate in forno già caldo a 200° C per almeno 60 minuti, poggiandola sulla base del forno. Il tempo varia in base alla grandezza della pizza e, al quantitativo di uova; pertanto, tanto più è grande, più deve cuocere. L’interno della pizza deve risultare perfettamente asciutto. L’uovo deve essere cotto. Per verificarne la cottura fate la prova coltello, infilando la punta sia in un angolo della pizza che al centro. Se risulterà ben asciutto allora sarà cotta. Sfornate e fate raffreddare e riposare almeno 24 ore o anche più prima di essere mangiata, perchè il tutto deve ben assestarsi ed asciugarsi.
