La cantina del riccio | Wine bar – Castiglione del Genovesi (SA) – Tavolo Riservato
Ad un anno di distanza torniamo da Roberta a La cantina del riccio per riprendere un discorso lasciato in sospeso proprio ad inizio coprifuoco nel dimenticato 2020. Dove c’è cibo tradizionale c’è Il Trono di Sagre (e la sua versione relativa con i piedi sotto la tavola, tal Tavolo Riservato) e ogni iniziativa a riguardo è una pista da seguire come un cane da tartufo. A proposito di tartufo, intanto vi dico che abbiamo mangiato, poi su questa cosa ci torniamo su.



Le porzioncine
Unicità dello stile di Roberta e de La cantina del riccio è che il menu è sempre composto da tante, diverse portate, che spesso si caratterizzano per essere confezionate e servite in modo tale da poter essere mandate giù anche in un sol boccone.
Una contrapposizione forte al classico agriturismo come lo conosciamo qui al sud Italia, dove quando ci si siede ci si aspetta una tavolata imbandita stile banchetto medievale, dove fette di prosciutto grandi come vele dell’Amerigo Vespucci coprono gli altri piatti, parti del locale e gli stessi clienti, che sotto di esse annaspano cercando di procacciarsi un po’ di confettura al mandarino da spalmare sul formaggio giovane.
Ma non ci si faccia ingannare!
Ho detto da qualche parte che si mangia poco? Non è così.
L’elegante trappola de (la cantina del) riccio è che ti sembra di addentare poco, inizialmente, ma poi per qualche misteriosa ragione la panza comincia a far pressione sull’eroico bottone del jeans, e lì capisci che anche oggi hai compiuto il solito attentato alla tua linea.

La sequela di piatti
Per iniziare ecco del prosciutto sfilettato di fresco dal gambone di maiale presente in bancone, accompagnato da tocchi di formaggio da far imbrunire e ammorbidire su una pietra di sale incandescente.
Ideali da ingelatinare un po’ con del miele su una fetta di pane.


A seguire arriva il “primo”, in realtà i primi.
Si tratta di due belle pentolone in coccio che ospitano il riso che è un po’ il tratto distintivo del locale.
Cotto in forno a legna, assume una caratteristica sfumatura bruciacchiata e croccante, e ci viene presentato in due versioni.
Una con zucca e tartufo, l’altro con broccoli.
Le due versioni sono entrambi soddisfacenti, ma chiaramente il profumo del tartufo da sicuramente un tocco distintivo in più. Il povero broccolo a parer nostro si piazza secondo in questa brevissima classifica.
Subito dopo cicoria e fagioli e delle polpettine delicate di vitello con al fianco delle fette di melanzana “alla contadina” o alla “spaccatella” che dir si voglia, con sugo e formaggio.
Anche in questo caso, tranne che col riso col quale ci siamo concessi un bis (quindi 2 bis, quindi 4 piatti di riso a testa) si tratta sempre di bocconi e porzioncine, solo che tra pane, bocce di vino e compagnia a breve cominci a sentirle…


E ancora, e ancora!
Il confine tra i “secondi” e tutto il resto è sottile, quindi benchè non sia in grado di capire a che punto della cena siamo continuo a mangiare, e la prossima portata è speciale.
Un taglio entrecote sulla celebre pietra di sale che sfrigola, con in cima una pioggia copiosa di pecorino e cachi.
Il taglio magro e succoso della carne al sangue si amalgama al bianco grasso del formaggio.
Un gran bel boccone che merita più di una sorsata di vino.
Di fianco alla carne, per ingentilire, una zuppa (sorta di menestra sciatizza) con zucca, foglie e cipolle.


Dopodichè è il momento del trancio di capocollo di maiale marinato servito con delle patate alle erbe abbrustolite al forno che possono essere tranquillamente usate come piccolo recipiente/base per bruschetta e che quindi volendo vi salvano dall’ingerimento dell’ennesima fetta di pane.
Anche qui ho trovato molto delicata la carne ed interessante la patata, che sembra davvero la cappella di un grosso champignon, molto sfiziosa.
Anche in questo caso di fianco c’è una zuppetta. E’ un mallone, alla maniera di Roberta, molto più umido e bagnato delle versioni braciglianesi, con un po’ di brodino d’accompagnamento.


E infine…
Ci dirigiamo a grosse falcate verso la fine.
Arrivano delle castagne locali (come tutto quello che ci è arrivato in tavola, sottolineo, a partire dall’acqua) e subito dopo delle zeppoline pucciose e incandescenti.
Stavolta invece che con la zuppetta le accompagniamo col passito.


E’ stata una cena piacevolmente lunga, di quelle che piacciono a me.
Quando vado a cena fuori mi piace passare tanto tempo a tavola con i miei amici a chiacchierare, mangiucchiare, bere vino, bere vino, bere vino e sicuramente La cantina del riccio è ideale per questo tipo di attività.
L’ambiente è caldo, spesso c’è musica dal vivo, le portate sono sempre tante, locali e tradizionali (anche se presentano sempre un tocco personale) e c’è un ampia scelta di vini (da tutta Italia).
Insomma, ci siamo rilassati, abbiamo mangiato, abbiamo ideato cose (che poi vi spiego meglio in pagina…) e non vediamo l’ora di sentire di nuovo parlare de La cantina del riccio.